mercoledì 27 ottobre 2010

Keith Haring (#6)

Un amico era impegnato, all’inizio di settembre, in una spassionata (e appassionata) apologia di Keith Haring. Confesso che ne sapevo ben poco dell’artista newyorkese, ma con 10 minuti di wikipedia ho taroccato quasi credibilmente l’esperienza che solo qualche anno di storia dell’arte (o di autentico interesse) concede.
Così mi son fatto un’idea su chi fosse Haring, come disegnasse e cosa volesse trasmettere con le sue linee arzigogolate.


(clicca per ingrandire; se non basta, premere insieme "ctrl" e "+")

Ma l’aneddoto della pittura-prigione, con l’artista chiuso in un angolino, era troppo goloso. E quindi, con un colpetto qua e uno là, il meccanismo umoristico è scattato piuttosto facilmente.

eMMe

Piuttosto facilmente”, dice lui! Per carità, verissimo: peccato una piccola “dimenticanza” nella sua bella presentazione, ossia lo stacco cui mi ha obbligata tra lo stile della vignetta uno e tutte le altre – e non c’è stato verso di trattare. Quindi mi son messa a studiare un po’ lo stile di Haring, ben consapevole che imitare Keith non era forse la mossa più produttiva né furba. Mi son concessa qualche variazione sul tema, chiamiamola così.

Kappa




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